Quando ci sono più camion che trasportano fiori per le “hospitality”
piuttosto che automobili da gara, significa che
abbiamo totalmente perso la percezione del contenuto sportivo

di Vittorio Gargiulo
Nei giorni della vigilia del Gran Premio d’Italia a Monza, John Elkan, Presidente della Ferrari ha dichiarato: “Sono preoccupato per quello che sta succedendo nel calcio e negli sport professionistici in generale. Al centro del sistema dovrebbero esserci i tifosi, gli atleti e le squadre. Ma c’è una deriva pericolosa che va a favore degli intermediari, degli organizzatori e dei regolamentatori che mettono il mondo dello sport in una posizione difficile, perché l’unica cosa che li motiva sono i soldi e il potere. Ho fiducia nel lavoro che sta facendo mio cugino Andrea Agnelli, impegnato con passione affinché il calcio abbia un futuro…”
Queste parole, raccolte dal Pier Bergonzi della Gazzetta dello Sport, fotografano in modo perfetto quanto si è monumentalmente palesato in occasione della gara di Monza: un inno al marketing a discapito dello sport.

Orbene, non viviamo sulla luna e sappiamo benissimo quanto il marketing, le sponsorizzazioni e tutto quanto viene appresso siano vitali per lo sport, e non solo per quello professionistico.
L’avvento di Liberty Media al vertice della Formula 1 ha senz’altro accelerato questo processo… ma, lasciatecelo dire: c’è un limite a tutto.
E allora quando l’80% dell’impegno e del lavoro dell’esercito di persone che lavorano attorno ad un Gran Premio (oltre 4.500!!!) è finalizzato al marketing, quando ci sono più camion che trasportano fiori per le varie “hospitality” piuttosto che automobili da gara, quando il volto di Chiara Ferragni è più fotografato di quello di George Russel (il terzo classificato!), significa che abbiamo totalmente perso la percezione del contenuto sportivo.
E che la scala di valori non è più quella a cui abbiamo creduto per decenni.
Un amico, che di sport marketing è super esperto (e di motori pure), mi ha chiesto domenica mattina: “Ma quanti tra noi addetti ai lavori sanno che differenza ci sia tra una F.1, una F.2 e una F.3?”.
La risposta è facile: quasi nessuno.
E se la domanda viene riferita al pubblico la risposta è ancora più semplice: assolutamente nessuno.
Pertanto, se il pubblico non capisce e non conosce lo spettacolo sportivo a cui viene attirato (tra l’altro spendendo cifre astronomiche) significa semplicemente che lo sport è passato definitivamente in secondo piano rispetto a tutto il luna park che gli gira attorno.
È difficilissimo valutare se ciò sia giusto o sbagliato.
Ma certamente è così e mai come in questo caso varrebbe la pena ricordare che “la virtù sta nel mezzo”.