Ci sono vetture che sono passate alla storia per i grandi successi.
Altre invece sono diventate vere e proprie icone per quello che hanno rappresentato:
una storia particolare, un momento di svolta, un fenomeno sociale e di costume
che è andato ben oltre le tribune di un circuito

Anche nel febbraio 2023 “The I.C.E. St. Moritz” ha saputo richiamare nella prestigiosa località svizzera il jet set internazionale, le auto d’epoca più rare e attraenti, e tanti, tantissimi amanti dell’eleganza e della storia dell’automobile. Si tratta di un evento tra i più esclusivi nel mondo delle auto storiche, un vero weekend da sogno.

Quest’anno la manifestazione ha anche avuto il merito di farci ammirare alcune delle più affascinanti Maserati del passato e, in particolare, di riaccendere i riflettori su una delle monoposto da competizioni più belle e iconiche della storia: la Maserati 420M/58 Eldorado.
Un pezzo unico e meraviglioso, costruito nel 1958 appositamente per la seconda edizione della 500 Miglia di Monza. Una vettura che è piuttosto raro vedere in azione.
E qui, visto che l’evento si è svolto sul lago di St. Moritz completamente ghiacciato, sarebbe sin troppo facile giocare sul fatto che l’auto era sponsorizzata (fatto inconsueto negli anni “50) da una notissima marca di gelati.

Ma in realtà, quella della Maserati “Eldorado” è una storia bellissima e intrigante, che vale davvero la pena recuperare…

L’idea era veramente eccellente e si doveva all’intuizione dell’ingegner Bacciagaluppi, allora presidente dell’Automobile Club di Milano.
Correva il 1956 e Bacciagaluppi pensò ad una gara aperta alle vetture della Formula Indianapolis, un modo per vedere finalmente un confronto concreto e diretto tra vetture e tecnologie americane ed europee.
L’anello di alta velocità era stato da poco completato e quella della 500 Miglia di Monza sarebbe stata un’ottima opportunità per farlo conoscere al mondo.
Nell’occasione fu anche istituito un altisonante super-premio, detto il Trofeo dei Due Mondi, messo in palio dall’amministrazione monzese.

Ma per comprendere meglio questa storia occorre fare un piccolo passo indietro.
Infatti, nel 1955 era stato affrontato il rifacimento totale della pista brianzola, che a fine lavori presentava un tracciato di 10 chilometri complessivi, con una parte stradale (quella tutt’ora utilizzata, anche se con molte modifiche) e un settore d’alta velocità.
Progettata dagli ingegneri Aldo Di Renzo e Antonio Beri, la nuova pista d’alta velocità misurava 4.250 metri ed era costruita su strutture in cemento armato. Le due grandi curve sopraelevate, del raggio di 320 metri e con sopraelevazione a pendenza progressiva (sino all’80% nella zona superiore), erano calcolate per una velocità massima teorica di ben 285 chilometri orari.
Per l’epoca si trattava di una struttura davvero all’avanguardia, sia dal punto di vista ingegneristico che dal punto di vista sportivo.
Tra l’altro, nel corso della medesima ristrutturazione, l’Autodromo di Monza fu arricchito anche di altri importanti impianti, quali le due grandi torri con quadri luminosi poste ai lati della tribuna d’onore e le quattordici torrette metalliche (sette lungo il circuito stradale ed altre sette lungo la pista d’alta velocità) per l’esposizione delle classifiche al pubblico.
Infine, i notevoli 39 box di rappresentanza… in pratica gli antenati delle moderne aree hospitality.
Così allestito, il circuito fu adottato per il Gran Premio d’Italia negli anni 1955, 1956, 1960 e 1961, mentre la sola pista d’alta velocità, oltre che per numerosi tentativi di record automobilistici e motociclistici, fu anche utilizzata nel biennio 1957-1958 per la 500 Miglia di Monza.

La 500 Miglia si correva in senso antiorario, cioè al contrario di tutte le altre gare monzesi, in quanto le vetture americane avevano assetto e distribuzione dei pesi studiati specificatamente per l’anello di Indianapolis, dove appunto si gareggia in senso antiorario. A dire il vero, nel 1957 nessun europeo accettò la sfida e Jimmy Brian, con la sua Dean Van Lines Special, vinse facilmente due manche su tre, aggiudicandosi la competizione a una media generale di 257,594 km/h, con giro più veloce a 282,809 km/h…. roba da brividi se pensate che stiamo parlando di 63 anni fa!
L’anno successivo le case italiane decisero di schierarsi. Ferrari portò in pista due monoposto (una 4 litri e una 3 litri) ma gli occhi di tutti furono rapiti dalla splendida Maserati “Eldorado” affidata a Stirling Moss. E qui comincia un’altra fantastica (seppur brevissima) avventura dell’automobilismo tricolore.

La Maserati “Eldorado” era bella da far mancare il fiato ed era pure veloce. Però, senza ombra di dubbio, è passata alla storia per essere stata la prima monoposto in Europa ad essere sponsorizzata da un marchio lontano dal settore auto: quello dei gelati Eldorado.
Nel Vecchio Continente si trattò senza dubbio del primo esempio di sponsorizzazione moderna, dove la vettura prese i colori dell’azienda partner, abbandonando la tradizionale colorazione rossa che la Federazione Internazionale assegnava alle automobili italiane.
Si trattò di una vera e propria rivoluzione, di vitale importanza per il futuro del motorsport, che da lì in avanti aprì lo sguardo verso nuovi orizzonti commerciali.
La monoposto venne commissionata alla Maserati dal Commendatore Gino Zanetti, proprietario dell’industria di gelati Eldorado. Zanetti, infatti, voleva promuovere il marchio a livello internazionale e si rivolse alla Casa del Tridente per costruire una monoposto con la quale competere a Monza nel “Trofeo dei due Mondi”.
La Maserati 420/M/58, telaio 4203, venne così verniciata integralmente in bianco mentre due scritte nere Eldorado, di grandissime dimensioni, apparvero ai lati dell’abitacolo. Altre due scritte più piccole trovarono spazio sul musetto e sotto il piccolo deflettore che fungeva da parabrezza.
Il logo con il volto del “cowboy sorridente” fu posizionato al centro del musetto e ai lati della pinna posteriore. Sotto le due grandi scritte Eldorado figurava, in rosso, la scritta “Italia” (a rimarcare la nazionalità di sponsor e costruttore) ma c’era anche spazio per il nome del pilota: il britannico Stirling Moss, uno dei più grandi campioni della storia delle corse, allora pilota ufficiale Maserati.

L’anno prima, nel 1957, la Casa modenese aveva vinto il Campionato del Mondo di Formula 1 con Juan Manuel Fangio, per poi decidere di ritirarsi dalla competizioni e costruire vetture da gara solo su richiesta di clienti privati, fornendo loro assistenza. Fu proprio questo il motivo per il quale Zanetti si rivolse alla Maserati.
In pochi mesi l’ingegner Giulio Alfieri diede vita alla “Eldorado”. Il motore, derivato dall’otto cilindri che aveva equipaggiato le 450S bi-albero, aveva una cilindrata ridotta a 4.190 cc capace di 410 CV a 8.000 giri. Il propulsore era montato disassato di nove centimetri a sinistra rispetto all’asse longitudinale, così come la trasmissione. Questa scelta era stata fatta per garantire una distribuzione dei pesi adeguata, tenendo conto del senso di marcia antiorario della competizione.

Il cambio aveva due soli rapporti mentre il ponte posteriore di tipo De Dion era privo di differenziale. Il telaio tubolare derivava da quello della pluri-vittoriosa 250F di Formula 1, che fu abbondantemente “vitaminizzato” tramite numerosi rinforzi, introdotti per permettere al bolide di resistere alle sollecitazioni della pavimentazione in cemento delle sopraelevate monzesi.
Per ridurre i pesi, furono adottate ruote a disco in magnesio Halibrand e pneumatici Firestone da 18 pollici con battistrada a treccia, gonfiati a gas elio. Con questi accorgimenti, la vettura arrivava a 758 kg.. La carrozzeria in alluminio, battuta a mano dal “maestro” Fantuzzi, era caratterizzata da una pinna aerodinamica verticale dietro l’abitacolo oltre che da una presa d’aria frontale per i carburatori.

Il 29 giugno 1958, la 500 Miglia di Monza si svolse su tre manches, che avrebbero determinato la classifica finale. Questa soluzione fui scelta per invogliare i costruttori europei a presentare le proprie vetture, le quali originariamente non erano state progettate per disputare una competizione lunga e impegnativa come una 500 Miglia.
Nella prima manche Moss arrivò 4° e nella seconda fu 5°. Nell’ultima invece si ruppe il comando dello sterzo e la sua Maserati terminò la corsa contro il guard-rail, vanificando le speranze del pilota inglese di concludere la manifestazione al terzo posto assoluto.
Mossa uscì indenne dall’incidente (e tutto sommato anche la “Eldorado” riportò pochi danni, dimostrando un’ottima solidità strutturale) e, in virtù dei tre risultati di manches e del numero totale di giri percorsi, venne comunque classificato settimo.
Per la cronaca Musso, con una delle due Ferrari, aveva stabilito il miglior tempo di prova a 281 km orari, e in gara la vettura di Maranello (condivisa con Mike Hawthorn e Phil Hill nelle varie manche) si classificò al terzo posto nella graduatoria finale.
Vinse lo specialista americano Jim Rathmann, su “Zink Leader Gard Slp”, a oltre 268 di media.
Purtroppo, nonostante il successo in termini di pubblico e spettacolo, la 500 Miglia di Monza non ebbe seguito negli anni successivi.

La Maserati “Eldorado”, sulla base delle indicazioni raccolte in gara, venne modificata dalla carrozzeria Gentilini, che tolse la pinna posteriore e ridusse la presa d’aria sul cofano, per essere iscritta alla 500 Miglia di Indianapolis del 1959.
Venne ridipinta di rosso, colore dell’Italia nelle competizioni, mantenendo però lo sponsor Eldorado, attraverso due scritte bianche sulle fiancate, oltre al logo del cowboy in un cerchio bianco sul muso e sulla coda.
L’inesperienza del driver Ralph Liguori però non consentì la qualificazione e probabilmente l’esito sarebbe stato diverso con un professionista al volante.
Oggi la Maserati “Eldorado”, perfettamente ripristinata nella sua livrea originale bianca, si trova a Modena e appartiene alla Collezione Panini.

La corsa di Indy era cara alla Maserati, che la vinse nel 1939 e nel ’40 con il pilota Wilbur Shaw alla guida di una 8CTF, ribattezzata Boyle Special per l’occasione. Shaw sfiorò la tripletta nel 1941, quando fu costretto al ritiro per la rottura di una ruota nel corso del penultimo giro (!!!) mentre si trovava in testa.

L’azienda del Tridente è l’unica Casa italiana ad aver vinto sul circuito dell’Indiana ed è l’unica Marca europea ad aver trionfato per due edizioni consecutive.